“A Gubbio sono tristemente iniziati in Piazza 40 Martiri i lavori ai giardini grandi, che mai avrebbero dovuto essere toccati e stravolti. Alla base di questo intervento c’è una totale mancanza di consapevolezza culturale, laddove si richiederebbe una capacità di alleggerire il contesto piuttosto che appesantirlo. Si è fatto invece esattamente il contrario, e sulla piazza è stata messa una pesantissima pietra tombale che non consentirà alle generazioni future, laddove volessero, ripristinare il verde o praticare degli scavi archeologici, precludendo loro ogni iniziativa in tal senso.
La cimiterializzazione della piazza si va definendo ogni giorno di più con il progredire dei lavori: come avevamo già osservato precedentemente invece di alleggerire lo spazio incrementando il verde si è arrivati a una soluzione strettamente cementizia che non risparmia i giardini storici al centro della piazza, e così come è stato fatto nell’ignobile e incivile intervento nei giardini piccoli, si preferisce ridurre la superficie dei giardini stessi contornandola e contornando le piante stesse con il famigerato corten, cancellando ogni traccia della struttura ottocentesca che prevedeva gli antichi cordoli in pietra. Si è scelto di privilegiare il paradigma della pesantezza, è mancata la relazione con il sentimento della natura, così presente nell’ispirazione ottocentesca.
L’utilizzo massiccio del corten va inesorabilmente a rimpicciolire l’area dei giardini, togliendo ogni traccia dei due ordini arborei che li delimitavano nella pianta originale. L’utilizzo indiscriminato di questo materiale ferroso, ormai di moda e buono per tutti gli usi, anche quando è palesemente inappropriato e inopportuno, denota un provincialismo e un arretramento culturale impressionante. Oltre a essere esteticamente inadatto a un restauro che avrebbe dovuto essere filologico, evidenzia anche un problema di sicurezza: le fasce a taglio dal punto di vista dell’incolumità appaiono estremamente pericolose per i frequentatori di elezione dei giardini pubblici: bambini e anziani.
La questione estetica è parimenti allarmante: il bello dei giardini è proprio il rappresentare un’oasi di naturalità al centro della piazza. La ghiaia cementizia barbaramente prevista renderà quell’oasi, ancora deliziosa nonostante l’incuria decennale, uno spazio innaturale. La manutenzione va fatta annualmente sulla ghiaia vera, per renderla pedonabile anche con il cattivo tempo e senza ulteriore consumo di suolo. Tanto si può ancora fare da parte della nuova amministrazione, a cui ci appelliamo accoratamente perché sia dato termine alle opere vandaliche in atto. L’anno passato sono state raccolte e presentate alla vecchia amministrazione circa 800 firme contrarie a questa assurda “riqualificazione”, e queste voci hanno tutto il diritto di essere ascoltate e prese in considerazione. La “dequalificazione”, perché di questo si tratta, dell’antica piazza del mercato ci sembra un’occa sione desolatamente mancata. Con tutti quei soldi si sarebbe potuta realizzare un’opera veramente significativa, con l’inizio degli scavi nelle aree della piazza in cui si sa che esistono evidenze archeo- logiche, dando, con questo, un forte impulso anche al turismo di qualità.
Perché non si ascoltato anche i cittadini che spesso sono portatori di saggezza e conoscenza e che, per usare un termine caro ad Antonio di Pietro, qualche volta ci “azzeccano”? Per noi quello che sta succedendo ai nostri giardini pubblici è l’esplosione più evidente di una barbarie senza soluzione di continuità. Tutti quelli che vi hanno contribuito dovrebbero caricare quelle perimetrazioni ridicole su dei tir e recintarci le loro case, visto che ne sono così entusiasti. Noi del Barone Rampante non lo siamo per niente e chiediamo di conoscere l’identità degli autori di questo scempio urbanistico, per guardarli negli occhi e dire loro che i sentimenti dei cittadini e i loro simboli identitari hanno più valore di questa presunta e demagogica modernizzazione.
John Ruskin, restauratore e critico d’arte dell’epoca vittoriana, sosteneva che i monumenti non fossero proprietà privata, anche se appartenevano all’artefice o al committente, ma che erano soprattutto delle generazioni future: gli uomini di oggi e di domani hanno gli stessi diritti nell’usufruirne e nell’averne cura. E se questo è valido per monumenti privati, tanto più dovrebbe esserlo per i giardini ottocenteschi che sono proprietà di tutti. Ancora John Ruskin così esortava i suoi contemporanei: “Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti e non avrete alcun bisogno di restaurarli… vegliate su un vecchio edificio con attenzione premurosa: proteggetelo ad ogni costo, ad ogni cenno di deterioramento (…) E tutto questo, fatelo amorevolmente, con reverenza e continuità, e più di una generazione potrà ancora nascere e morire all’ombra di quell’edificio (nel nostro caso passeggiare, amoreggiare, riposare e diventare bambina all’ombra di quei giardini).
In assenza di un progetto analitico che affronti le problematiche e i temi che interessano un’impor- tante area archeologica, in cui insistono anche gli storici giardini ottocenteschi, con strette relazioni architettoniche e urbanistiche con il paesaggio urbano, progetto espressione dell’arbitrio dei precedenti amministratori, tanto si può ancora fare da parte della nuova amministrazione, a cui ci appelliamo di nuovo perché cessi lo scempio che si sta consumando.”