Un luogo non nasce turistico ma lo diventa. Perché esso possa essere definito turistico è necessario un incastro perfetto per cui al bene che attrae il visitatore sia perfettamente integrato un sistema di infrastrutture e servizi che ne consentano la fruizione, possibilmente in maniera sostenibile.
Molti luoghi al mondo, urbani e non, sono sottoposti a una pesante usura turistica proprio perché si pretende di aggiustare grosse quantità di persone in luoghi non attrezzati o semplicemente inadeguati per loro natura alla massa, in nome di una famelica necessità di aumentare le presenze a tutti i costi.
Vogliamo tutti vivere di turismo, perché le nostre città sono belle, perché “in Italia c’è tutto, il mare, la montagna, il lago e l’arte”! Sì, e rosso di sera, bel tempo si spera e non è tanto il caldo, ma è l’umidità che t’ammazza.
Eppure, non è verosimile che dal gambale al tacco dello stivale sia sempre e ovunque possibile o sano aspirare a vivere di turismo. Potremmo pretendere di più, dovremmo pretendere che il nostro territorio riprenda vita innanzi tutto rianimando il settore primario e quello secondario, prima di decidere che a fare da traino per l’economia locale debba essere quello terziario.
Viviamo nel paradosso della bramosia di turismo che convive con la necessità, vera o presunta, di chiedere tasse varie per entrare in determinati luoghi o città, per poterli salvaguardare (vedi Venezia). Si parla di overtourism oggi, “sovraturismo”, ovvero quel fenomeno per cui il turismo può arrivare ad avere un’influenza negativa su un luogo, peggiorando la qualità della vita di chi lo visita ma anche di chi ci risiede.
Era prevedibile, dato che viaggiare non è più necessariamente un lusso e quindi a spostarsi è un numero sempre maggiore di persone. Si pone anche un’altra questione interessante, affrontata dal giornalista Francesco Marino sulle pagine online di Today.it (clicca qui per leggere l’articolo): il web, oltre ad averci reso la vita facilissima in fatto di pianificazione e prenotazioni, ci spinge a desiderare tutti la stessa cosa.
Sfido chi sta leggendo, se usa i social network, a giurare di non aver mai cercato di rivivere le stesse esperienze e gli stessi luoghi adocchiati sui profili di altri utenti online. Un esempio a noi relativamente vicino è quello di Rasiglia: la piccola frazione del comune di Foligno è stata presa d’assalto negli ultimissimi anni per i suoi scorci affascinanti, fra torrenti e ponti di legno, dopo essere diventata sempre più celebre a suon di scatti fotografici pubblicati online.
Tuttavia, le vie di Rasiglia forse non sono adeguate proprio per dimensione ad accogliere migliaia di persone nella stessa giornata e lo sforzo del comune di attrezzare un ampio parcheggio, attivare un servizio navetta e investire 80mila euro in un percorso pedonale per accedere al borgo non è sufficiente a contenere i disagi e impedire che questo venga paralizzato da persone e automobili.
E’ questo che vogliamo per la nostra città? Gubbio non è una metropoli ma una città medievale che, nonostante la grande estensione del territorio comunale, ha la fortuna di contare un gran numero di perle architettoniche e storiche tutte concentrate in un centro storico raccolto.
Pare che l’esigenza primaria della città sia quella di pompare il settore turistico. Ma perché? Mancano davvero i visitatori in città?
Nelle ultime settimane sono emersi diversi problemi ma alcuni sembrano in contraddizione fra loro.
Sì, mancano le strutture ricettive ma forse non è questo il problema, dato che ultimamente da alcune indagini giornalistiche è emerso come quelle aperte non hanno registrato il tutto esaurito nella prima parte dell’estate.
Sì, bar e servizi di ristorazione in alcuni punti della città sono carenti, se non del tutto assenti oppure aprono battenti soltanto in orari e momenti molto precisi della settimana e questo è effettivamente un problema ma lo è, dal punto di vista di chi scrive, soprattutto per i residenti e per la vitalità della città.
C’è un allarme diffuso rispetto alla presunta tragedia di una Gubbio deserta nel mese di luglio e fino a ferragosto ma, sarà colpa della miopia, non è chiaro quale sia il dato insolito o preoccupante. Una città che in piena estate è meno popolata. Una città che quando i termometri segnano 37° di temperatura non è presa d’assalto da turisti vogliosi di passeggiare fra pareti di pietra che restituiscono calore anche quando ormai il sole è tramontato da ore.
I turisti, così come i residenti, probabilmente erano al mare o in montagna o chissà dove a cercare refrigerio, come accade di solito almeno da qualche anno. Sempre come accade di solito, poi, i turisti così come i residenti stanno tornando e basta fare un giro per le vie della città per rendersene conto.
Non ha molto senso, invece, basarsi soltanto sui dati degli alberghi: la maggior parte delle presenze in città sono rappresentate da persone che alloggiano in altri luoghi della regione e che a Gubbio vengono a trascorrere una sola giornata.
Media Video ha cercato per questo di indagare ulteriormente il turismo nella città di pietra, provando a individuare anche altre dinamiche da mettere a fuoco per avere un quadro più equilibrato possibile della situazione.
Il malato è davvero grave? O il “termometro del turismo” segna una febbre che non c’è? Sorprenderà scoprire che i dati, in realtà, parlano di un trend in crescita: dal 2013 al 2023 è cresciuto del 19% il dato degli arrivi nel comprensorio eugubino e del 13% quello delle presenze.
Nei prossimi giorni torneremo sul tema.