Dall’8 settembre all’8 ottobre il MUAM di Gubbio ospita la mostra a cura di Paolo Cortese
Il progetto presentato lo scorso marzo ha preso definitivamente forma: il frutto del lavoro di otto artisti sui preziosi teli di lino tessuti nei primi anni del ‘900 da Elvira Sollevanti è ora in mostra presso lo spazio espositivo del MUAM di Palazzo Beni.
Fernando e Giuseppe Sebastiani hanno donato agli artisti i preziosi manufatti della nonna Elvira, confezionati fra il 1911 e il 1950 nell’attesa di un lieto ritorno che non è mai avvenuto. Il marito Peppe Sebastiani, infatti, non tornò mai dal fronte ma Elvira continuò a lavorare al telaio senza perdere la speranza, tessendo federe, asciugamani e lenzuola, come una moderna Penelope.
La mostra “Trasfigurazioni. Tele del futuro” è stata inaugurata lo scorso 8 settembre e sarà visitabile almeno fino all’8 ottobre. Lo spazio dedicato dal MUAM – Museo delle Arti e dei Mestieri alle temporary exhibition si presta a sottolineare ancor meglio non solo la possibilità ma anche la bellezza di un connubio insolito, quello fra l’antico e il contemporaneo, fra l’artigianato e l’arte. Le volte di pietra della grande sala sono ora adornate dalle tele chiare di Elvira, trasformate dalle mani sapienti di artisti dalle anime differenti.
Toni Bellucci, Vito Capone, Federica Luzzi, Francesca Nicchi, Marilena Scavizzi, Greta Schödl, Maria Jole Serreli e Franca Sonnino sono stati invitati a dare una nuova vita all’opera di Elvira Sollevanti, ognuno secondo la specificità della propria poetica. Tuttavia, ne emerge un senso collettivo che parla di relazioni, di empatia e di vicinanza.
Il curatore della mostra Paolo Cortese racconta infatti della scelta di rappresentare una “rete di Indra” sulla locandina della mostra: la rete bianca su sfondo nero rappresenta le connessioni fra tutti noi, visibili o non visibili, consapevoli o inconsapevoli e le perle che spiccano sono gli artisti, in qualche modo legati fra loro e con la stessa Elvira.
Elvira è solo apparentemente lontana da noi e ne è esempio l’opera di Maria Jole Serreli, che ha portato nella sua trasformazione della tela il dolore di altre donne, di altre vedove che hanno conosciuto il sapore amaro della perdita. In questo caso il tessuto si sfrangia e si annoda, come le dita di una mano tesa, verso tanti piatti vuoti. La polvere ne ricopre alcuni, in un parlare muto di assenze, vite in sospeso e posti rimasti vuoti.
Francesca Nicchi ricama una dolce poesia sulla tela che ora ha preso materialmente la forma di un diario, dopo esserne stata soltanto la metafora. Federica Luzzi lavora sull’imprevisto, sul risultato inaspettato che un elemento di disturbo può restituire, una sorta di rumore che si interseca con la tela e ti porta dove non sai.
Uno dei protagonisti della mostra avrebbe dovuto essere anche Oscar Piattella, scomparso recentemente ma presente grazie al contributo curato da Alberto Mazzacchera con l’Archivio Oscar Piattella, rappresentato dal presidente Fernando Barbetti. Piattella ricorre alle tele già negli anni ’60 ma come avrebbe reagito il suo estro di fronte alle stoffe di Elvira? La domanda rimane sospesa e così su un tavolo fanno scena i vasetti di colori dell’artista e accanto un lenzuolo rimasto intatto diventa uno schermo sul quale scorrono le immagini di parte delle sue opere.
All’inaugurazione della mostra il sindaco Stirati, l’assessore Uccellani e la presidentessa dell’Università dei Sarti Manuela Marchi hanno approfittato per sottolineare il valore immenso di un’arte, quella della sartoria, che ha portato lustro alla città di Gubbio e che deve essere tutelata e valorizzata, facendo accenno ad altre intersezioni che si concretizzeranno in progetti futuri, che vedranno la collaborazione fra il Comune e i Sarti.
La mostra ha fra i vari partner la galleria Gramma_Epsilon di Atene, che si occupa dell’arte femminile della seconda metà del Novecento e gli “Amici di Mirella”, gruppo nato attorno alla figura di Mirella Bentivoglio che nel 2022 ha contribuito alla ricollocazione dell’Ovo di Gubbio nella sua sede originale.