“I nostri giardini dell’antica piazza “del mercato” ricalcavano i modelli romantici
ottocenteschi, con panchine e fontane costruite con materiali molto naturali e imperfetti come la pietra spugna, quasi a imitazione della natura. Si percepivano anche elementi
tardo barocchi, come ad esempio la “montagnola”.
I giardini che chiamiamo con tenerezza “piccoli” erano una deliziosa e colta citazione dei giardini grandi, ottocenteschi, di cui replicavano, appunto in piccolo, le architetture e le geometrie, le forme e le essenze. Piccole siepi li circondavano, e tutto intorno al loro perimetro correvano alberelli ornamentali. All’interno, una siepe di dimensioni ridotte ricalcava il labirinto naturale che ancora oggi si rintraccia nel giardino grande, nonostante i decenni di incuria. Lo spazio era determinato e impreziosito, come il grande, da pietre di travertino. Piccoli gioielli, i due giardini, che introducevano alla città medievale, patto stretto tra uomini e natura. Come, simbolo del patto tra città e campagna, era la grande piazza del mercato, dove confluivano verdure e animali trasportati dai carri dei contadini. A fine Ottocento, i nostri antenati il verde avevano sentito il bisogno di ritrovarlo e metterlo a disposizione dei cittadini, via via che la campagna si allontanava sempre di più. A Carlo Sereni di Senigallia era stato affidato il compito di pensare e organizzare, secondo il gusto del tempo, un giardino all’italiana, compito che aveva svolto egregiamente.
Con il passare del tempo la natura ha fatto il suo corso, gli uomini, invece, si sono guardati bene dal fare la loro parte: dopo un primo periodo di cura e rispetto, i due giardini sono stati lasciati andare nell’incuria più infamante: gli alberi abbattuti non sono mai stati sostituiti, e si è lasciato che il degrado e l’incuria facessero il loro lavoro. E se voci si sono levate, sono state solo quelle che l’hanno fatto per accusare paradossalmente la natura di aver fatto il suo mestiere, dicendo che gli alberelli (forse si pensava di farne dei bonsai?) erano cresciuti troppo e che il giardino si era inaspettatamente fatto bosco, ignorando di proposito le responsabilità umane, e il fatto che, se il giardino era diventato un bosco, questo comunque aggiungeva valore allo stesso: quante città possono dire di avere al proprio interno un bel boschetto, con gli uccellini che cantano la mattina e il profumo inebriante che si sprigiona la sera dall’erba? Abbiamo provato a farci sentire dalla passata amministrazione in tutti i modi, noi del Barone Rampante, comitato spontaneo nato per la salvaguardia dei giardini pubblici,
arrivando anche a fare una manifestazione per chiedere che nessun albero fosse abbattuto e conservato invece l’impianto originale ottocentesco, dai lampioni alle piante.
Non siamo stati minimamente ascoltati, e il risultato della scellerata “riqualificazione” come
si amano oggi definire gli scempi, è sotto gli occhi di tutti. Per noi riqualificare deve voler dire restaurare, come si fa per i Monumenti storici, cercare le piante originali del progetto e
ripiantare siepi e piante fedeli all’impianto originale. E ripudiare quelle assurde bordature di
acciaio corten che circondano le sparute aiuole dei nostri poveri giardini piccoli ridotte a
contornare il perimetro degli alberi.
Il danno enorme che è stato portato ai giardini è che in un giardino la superficie del verde deve essere preponderante rispetto a tutto il resto. Qui si è verificato il contrario! Le Aiuole sono state ridotte a grandi fioriere di delimitazione perimetrale in acciaio corten che qui viene utilizzato con uno spessore enorme, cosa che lo rende oltretutto difficilmente plasmabile, impedendogli di essere più fluido, armonico ed elegante.
In ogni caso si tratta di un intervento complessivo che noi reputiamo incivile. I responsabili della devastazione sono politici, tecnici comunali, progettisti, direttori dei lavori, soprintendenza. Dietro a tutto, una teologia della spesa dei soldi del PNRR a ogni costo, senza nemmeno considerare che questi sono solo in parte a fondo perduto, e che gli altri sono da restituire all’Europa.
E il resto? Piazza Quaranta Martiri è un luogo straordinario, uno spazio di cesura che divide e unisce la città antica con quella novecentesca, luogo di arrivo e di partenza.
Le superfici pavimentate dovevano diminuire e non aumentare, casomai le superfici verdi avrebbero dovuto essere accresciute, non diminuite. In tutto il mondo, con il riscaldamento
climatico che bussa alle nostre porte, sempre di più si toglie l’asfalto e il cemento dalle piazze per far respirare la terra e piantare nuovi alberi. Il pavimento in pietra crea un
surriscaldamento dell’area con punte elevatissime in estate, come ben hanno potuto sperimentare l’estate scorsa i proprietari dei locali che si affacciano sulla piazza.
Da noi la terra è stata sepolta per sempre sotto metri di cemento e pietra serena.
Questo appesantimento introduce due elementi di debolezza: la pietra serena, il materiale
usato già in via Dante, è tutta sfaldata a causa delle pioggia e delle escursioni climatiche,
nel giro di pochi anni sarà completamente devastata. Un’incomprensibile alterazione del
piano stradale lo ha riportato sullo stesso piano del cordolo in mattone che era d’appoggio
alle colonne delle logge. I danni arrecati da questo miope intervento sono di due ordini:
alterazione dell’architettura delle Logge con effetto di schiacciamento; le colonne ora
appaiono senza base e sembrano galleggiare in un mare piatto. Non esiste più una
demarcazione efficace tra le Logge come architettura e la piazza tutta intera. Il rischio è
che il loggiato si trasformi alla prima pioggia torrenziale in una piscina.
L’aspetto complessivo della piazza assume ora un contorno freddo, straniante,
sempre più simile a una piazza aeroportuale senza alcuna personalità. Possibile che non
troviamo nulla di positivo in questo progetto? Ci direte. È vero, anche gli orologi rotti due
volte al giorno segnano l’ora giusta. Un elemento positivo c’è: il fatto che il progetto
restituisca un’area urbana a disposizione dei cittadini togliendo il parcheggio davanti le
Logge. È la qualità del progetto che è carente e non adeguata a un contesto così rilevante,
mettendo al primo posto la commercializzazione dello spazio e non la sua riqualificazione.
Riqualificare (e non dequalificare) dovrebbe significare, innanzitutto, in contesti storici,
RESTAURARE e poi, caso mai, integrare in maniera pertinente e con umiltà che non è
mai troppa da parte innanzitutto dei progettisti!
Facciamo un appello all’amministrazione attuale: non percorrete anche voi la strada dell’ignoranza e della inciviltà, siamo ancora in tempo per fermare lo scempio del giardino grande: fermatevi. Ve lo chiedono il Buon senso e le leggi della bellezza e della salvaguardia del nostro bellissimo paesaggio.”
Giardini di piazza 40 Martiri: “Un intervento incivile”, le parole della sezione eugubina di “Salviamo Il Paesaggio”
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